Peter Grimes sbarca in laguna
Gli Amici della Musica
By Giuliano Danieli Jun 27, 2022
VENEZIA - La Fenice è stata certamente fra le istituzioni europee più ricettive nei confronti della produzione di Benjamin Britten. Qui nel 1954 è stata data la prima assoluta di The Turn of the Screw, riproposto nei decenni seguenti per ben 4 volte; e nel settembre 1973 ancora la Fenice di Venezia ha ospitato la prima “continentale” di Death in Venice, l’ultima opera del compositore inglese presentata solo pochi mesi prima al festival di Aldeburgh. Sorprende quindi che, fino ad oggi, la città lagunare non avesse conosciuto Peter Grimes, capolavoro di Britten del 1945 che indiscutibilmente occupa i vertici del teatro musicale novecentesco. Bene ha fatto la Fenice a colmare questa lacuna nella corrente stagione, presentando una produzione complessivamente assai riuscita.
Il regista Paul Curran, cui è stato affidato questo nuovo allestimento, ha proposto una lettura dell’opera lineare e toccante. Il concetto centrale – già espresso da Peter Pears, primo interprete di Peter Grimes, in un famoso articolo del 1946 – è che il protagonista dell’opera non sia né un eroe né un mostro, ma un uomo debole, solo e incompreso; un “diverso” che la comunità di pescatori in cui vive (“il Borgo”) marginalizza e perseguita. In questa figura di “ordinary weak person”, per citare Pears, chiunque può in qualche misura rispecchiarsi, e Curran approfondisce intelligentemente quest’idea, realizzandola con particolare efficacia nel terzo atto, quando il Borgo cerca minacciosamente Peter scrutando con la luce di alcune torce i volti del pubblico in sala.
Sebbene per il regista la figura di Peter sia più ordinaria che eccezionale, la sua tragica vicenda è sapientemente sottratta ad una narrazione normalizzante dalle scene di matrice espressionista concepite da Gary McCann (pareti mobili, inclinate, dai profili irregolari) e dalle luci inquietanti, a tratti violente di Fabio Barettin. La caratterizzazione attoriale dei singoli personaggi del Borgo contribuisce a calare la storia di Peter in un ambiente alienante. I numerosi quadri di massa sono animati da controscene che ben comunicano le ossessioni degli abitanti del villaggio: ad esempio, più volte all’inizio dell’opera essi sono impegnati nell’atto di pulire tavoli, abiti e pavimenti, a suggerire una nevrotica inclinazione all’ordine della quale Peter non potrà che cadere vittima.
Il ritratto del protagonista tratteggiato da Andrew Staples appare generalmente coerente con l’impostazione registica. Il tenore tende a smussare alcune eccessive asperità vocali di Peter, restituendo una figura animata da delicata sensibilità. Quello di Staples è un Peter Grimes gentile anche nella disperazione, con il quale risulta facile simpatizzare.
Su un versante quasi opposto si muove la Ellen Orford di Emma Bell. Il soprano è dotata di uno strumento potente, forse anche troppo: i suoi acuti squillanti rendono Ellen un personaggio quasi temibile, piuttosto che una figura dolce – ancorché ferma nei suoi propositi – come Britten parrebbe volerla dipingere.
Più centrato appare il ritratto del Capitano Balstrode offerto da Mark Doss, che oscilla fra momenti di risoluta potenza ed altri di sentita compassione.
Molto buona la prova vocale e attoriale di tutti gli altri membri del cast, fra i quali spiccano l’incalzante Swallow di Sion Goronwy, un’espressiva Sara Fulgoni nel ruolo di Auntie, e la sinistra Mrs. Sedley di Rosalind Plowright. Encomiabile la prova del coro – vero e proprio “personaggio” in quest’opera – diretto da Alfonso Caiani.
Juraj Valčuha alla guida dell’orchestra della Fenice regala un’esecuzione maiuscola: la sua lettura tende ad esaltare gli insanabili contrasti che percorrono la partitura, senza però lasciare che tale materia si trasformi in caos indistinto. I tempi, le dinamiche, gli impasti sonori sono sottilmente calibrati. Anche nei momenti più esasperati l’orchestra è in equilibrio perfetto con le voci.
Un pubblico numeroso ha salutato con incandescente entusiasmo questa produzione. Non resta quindi che augurarsi che Britten torni ad essere programmato con costanza a Venezia. Con la sua storia, la Fenice può restituire al teatro del compositore inglese la meritata centralità che troppo a lungo le istituzioni italiane hanno faticato a riconoscergli.
(La recensione si riferisce alla recita di Domenica 26 giugno 2022)
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